domenica 20 marzo 2011

APOCRIFI DI LUCA MARTINELLI


Un gioco dentro il Grande Gioco:
l’arte di scrivere apocrifi, la voglia di leggere apocrifi

di Luca Martinelli



Ormai è chiaro. È stato detto e ripetuto: Sherlock Holmes è realmente esistito e Conan Doyle è semplicemente il nome dell’agente letterario del dottor Watson, che per ragioni di riservatezza e opportunità non poteva firmare con il suo vero nome i resoconti delle avventure del detective.

È questo il Grande Gioco che accomuna e affratella migliaia di sherlockiani in tutto il mondo. E se giocare il Grande Gioco è – come molti affermano – “una cosa deliziosamente inutile ma estremamente divertente”, si potrebbe dire che l’arte dell’apocrifio è una cosa deliziosamente divertente ma terribilmente seria.

Lo dico, prima ancora di dare uno sguardo alla sterminata produzione di avventure non classificate nel Canone, che è il corpus che raccoglie i 4 romanzi e i 56 racconti firmati da Conan Doyle, per mera esperienza personale. Ho avuto l’insana idea di volermi cimentare nella scrittura di apocrifi. Dico insana, perché non avrei mai immaginato che un divertissement richiedesse tanto rigore letterario e storico e un’applicazione quasi certosina. Comunque, ho avuto l’ardire di farlo e come avrebbe detto Holmes di fronte alla traccia appena individuata: “The game is afoot” (Il gioco è cominciato).

E dunque giochiamo.

Dovendo parlare di apocrifi, l’aspetto sorprendete è che ci troviamo a misurarci con un argomento vecchio quasi al pari del personaggio che lo ha originato.
Già nel 1893, mentre sullo Strand Magazine apparivano i racconti poi raccolti in volume col titolo “Le memorie di Sherlock Holmes”, la rivista satirica “Punch” proponeva al pubblico le avventure di Picklock Holes (otto racconti, in forma di parodia, firmati da Cunnin Toil, pseudonimo dietro il quale si celava lo stesso direttore del “Punch”, Rudolf Chambers Lehmann).

Era parodia, è vero. Ma la parodia e la satira, come ben sappiamo, esistono solo in virtù dell’esistere di personaggi o vicende capaci di colpire l’immaginario collettivo.


Ma il fenomeno non si fermò alla parodia, tanto che nei primi dieci anni del Novecento molti autori, fra i quali penne del calibro di Mark Twain e Maurice Leblanc, si cimentarono con la figura di Sherlock Holmes.

Se negli anni in cui era vivo l’autore (Doyle morì nel 1930) si poteva pensare ad un fenomeno legato al successo di mercato di Sherlock Holmes, dopo gli sconvolgimenti della grande guerra, col fiorire di nuove letterature e nuovi eroi del genere giallo, si potrebbe immaginare che gli emuli della penna di Doyle non avessero più ragione di essere. E invece…

Invece, la produzione di apocrifi sherlockiani è continuata, senza mai arrestarsi.

E allora, vediamo di capire come mai esista e persista il fenomeno degli apocrifi.

La risposta è banale: si sono scritti e si scrivono apocrifi per perpetuare il personaggio di Sherlock Holmes, per appagare la nostra voglia di nuove avventure (o di conoscere le avventure mai narrate, perché solo accennate per titoli dai resoconti di Watson), e per rivivere costantemente il modo geniale e affascinante con cui Holmes smaschera il colpevole. Insomma, gli apocrifi ci offrono la possibilità di vivere o rivivere le avventure del nostro eroe senza mai volgere lo sguardo al suo tramonto.

Ma perché c’è bisogno di inventarsi nuove storie di Holmes?

In questo caso la risposta è più complessa e gran parte di essa sta nella relazione di Enrico.
È il personaggio Sherlock Holmes che ci fa sentire il bisogno di averlo continuamente accanto a noi. Perché è uomo del suo tempo, con pregi e difetti così profondamente umani da renderlo in realtà personaggio di ogni tempo; perché vuole ottenere il rispetto della legge e della giustizia senza essere un poliziotto o un giudice – “In ogni caso – dice una volta a Watson – il mio dovere è quello di qualsiasi cittadino: far rispettare la legge - ; perché, contrariamente a quanto si afferma per ogni dove, Holmes non è infallibile e ha il coraggio di riconoscere i suoi errori…

Insomma, Holmes assomiglia alla parte migliore di noi, e ha cedimenti che assomigliano molto alle cadute cui tutti noi andiamo soggetti, ma in più ha un acume sopra la media; e tutto questo ci fa immedesimare in lui e ci fa desiderare di essere come lui e, in questo rapporto di appagamento, trovarcelo compagno di nuove avventure è la molla che ha spinto molti a scrivere apocrifi e tanti lettori ad attendere l’uscita di nuovi apocrifi.

C’è chi sostiene, come il nostro past president Gianluca Salvatori, che la molla di questo gioco sia invece il dottor Watson, l’uomo tutto sommato mediocre che ha la fortuna di vivere accanto ad Holmes, di essere testimone delle sue geniali indagini. Senza dubbio anche in questa affermazione c’è del vero. Siamo tutti un po’ uomini mediocri. Siamo tutti un po’ dei dottor Watson che vogliono continuare a beneficiare dell’amicizia di Holmes e a condividere con lui entusiasmanti avventure…

1. segue

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