sabato 2 aprile 2011

VASARI: DELITTI NELL’ARTE FRA REALTA’ E LEGGENDA


intervento di Lucia Bruni e Federico NapoliFestival del Giallo (Biblioteca San Giorgio, Pistoia, 28 gennaio 2011)

Giorgio Vasari, di cui quest’anno ricorre il quinto centenario della nascita, ne Le Vite - il primo e più famoso libro di critica d’arte - illustrando i vari artisti di cui si occupa, spesso tocca argomenti che con il mondo del giallo hanno molto con cui spartire. Infatti, il mondo dell’arte è pieno di incognite e problemi non risolti: la misteriosa improvvisa scomparsa di tutti i pittori giotteschi di Rimini dopo il 1348 o la sospetta morte di Masaccio: Egli avrebbe fatto ancora molto maggior frutto nell’arte, se la morte, che di 26 anni ce lo rapì, non ce lo avesse tolto così per tempo. Ma, o fusse l’invidia o fusse pure che le cose buone comunemente non durano molto, e’ si morì nel bel del fiorire, et andossene sì di subito, che e’ non mancò chi dubitasse in lui di veleno, assai più che d’altro accidente (Vasari, Le Vite).
Storie che si intrecciano per altro con quella di Pistoia, dalla ipotizzata testa del re di Majorca al furto sacrilego di Gianni Fucci. Ma in Vasari nitida appare la storia della fine di Rosso Fiorentino, insoddisfatto pittore del Cinquecento: Per che deliberatosi di uccidersi da se stesso, prese questo partito: un giorno che il re si trovava a Fontanableò mandò un contadino a Parigi per certo velenosissimo liquore, mostrando voler servirsene per fare colori o vernici; ma poco a presso, presolo, si uccise avendo egli, che sanissimo era, bevuto, perché gli togliesse, come in poche ore fece, la vita (Vasari, Le Vite).
Dunque, un suicidio determinato dall’incomprensione del mondo attorno all’artista. Ma quanto possa essere difficile vivere tra gli altri e quanto spesso il delitto si nasconda attorno a noi in modo subdolo, è ancora indicato proprio da Giorgio Vasari nella Vita dedicata al pittore Andrea del Castagno: collega di Domenico Veneziano, ma di questi invidioso, per la simpatia, per il carattere aperto, per la preferenza accordatagli presso il pubblico femminile, lo uccide una notte in un vicolo di Firenze per poi piangerlo pubblicamente.
Ma quanto sia biasimevole in una persona eccellente il vizio dell’invidia, che in nessuno doverebbe ritrovarsi, e quanto scellerata et orribil cosa il cercare sotto spezie d’una simulata amicizia, spegnerne in altri, non solamente la fama e la gloria, ma la vita stessa, non credo io certamente che ben sia possibile esprimersi con parole, vincendo la scelleratezza del fatto ogni virtù …. Visse Andrea onoratamente, e perché spendeva assai e particolarmente in vestire et in stare onorevolmente in casa, lasciò poche facultà quando d’anni 71 passò ad altra vita. Ma perché si riseppe, poco dopo la morte sua, l’impietà adoperata verso Domenico che tanto l’amava, fu con odiose essequie sepolto in Santa Maria Nuova.
Notizia dettagliata trasmessaci da Vasari, così giunta a lui e che gli permette anche di esprimere una morale, ma non corrispondente al vero, in quanto Domenico Veneziano muore certamente alcuni anni dopo Andrea del Castagno. E dunque, dopo un dettagliato omicidio del Quattrocento, troviamo una nuova ricostruzione dei fatti. Stesse incertezze, per altro, legate alla fine di Caravaggio: A lì 18 luglio 1609 nell’Ospitale di Santa Maria Ausiliatrice morse Michelangelo Marisi da Caravaggio, dipintore, per malattia: oppure raggiunto dagli emissari della famiglia Tomassoni offesa in un duello mortale, o dai Cavalieri di Malta traditi dall’artista, o ancora pugnalato a morte dal capitano della nave che lo trasportava per solo scopo di furto?
Tutti fatti che intrecciano l’arte con il delitto, e comunque con l’enigma: lo stesso che ci racconta Balzac ne Il capolavoro sconosciuto dove il giovanissimo Poussin, è l’incredulo testimone di un ipotetico “capolavoro”, La belle Noiseuse, eseguito durante dieci anni di vita dal maestro Frenhofer. Questi è convinto di aver eseguito un’opera sublime perché dipinta nel suo quotidiano divenire (l’aggiunta di pennellate l’aveva invece resa incomprensibile), e sarà la candida affermazione di Poussin: “Io qui non vedo che un ammasso confuso di colori delimitati da una quantità di linee bizzarre che formano una muraglia di pittura”, a far prendere coscienza al vecchio maestro e a farlo morire di crepacuore. Un crimine? Sì, quello del grande scrittore nei confronti dell’arte figurativa (straordinaria intuizione e predizione), che di lì a trent’anni, avrebbe lasciato il ruolo di comunicazione tradizionale per assumersi quello di egocentrica manifestazione dell’io.

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