martedì 9 settembre 2008

Dall’inviata (molto) speciale al Festivaletteratura di Mantova 2008

Mantova, 3 settembre 2008
L’accoglienza di Mantova è delle migliori. Mi sono portata da casa la bici per il puro gusto di pedalare per le vie di Mantova, per sentirmi parte del festival.
Pedalo da Campo Canoa sul ponte che attraversa il Mincio in direzione del palazzo ducale. La visione, sì, proprio visione, è di quelle che ti fanno pensare ai quadri manieristi a soggetto religioso. Da grandi nuvole bianche che nascondono il sole di metà pomeriggio escono raggi di luce biancastra, inclinati e incrociati. Ci si aspetta di vedere da un momento all’altro spuntare il triangolo della Trinità e sentire la voce di Dio che tuona. Del palazzo ducale si vede la sagoma, come un’ombra cinese.
Sotto la Loggia del grano ci sono i volontari che si occupano delle prenotazioni; tutto molto veloce ed efficiente.Vado all’ufficio stampa nella speranza che la redazione abbia mandato via la mail per l’accredito ma non c’è niente a mio nome. Sono tutti estremamente cortesi e disponibili, non fai code da nessuna parte. Benché sia il primo giorno del festival c’è già fermento. Nelle piazze del centro la gente che si ferma sotto i tendoni a curiosare, parla, sembra allegra. Sotto il tendone di piazza della concordia da dove RAI3 trasmette in diretta Fahrenheit c’è pieno.
Via col primo evento in un circolo Arci. Gli spettatori sono seduti ai tavoli del circolo. Su ogni tavolo un cestino di taralli e una bottiglia di lambrusco a temperatura ambiente, circa 30°.
"Nella steppa padana", tragicomica liberamente ispirata a "Il revisiore" di Gogol. Il testo e la realizzazione apprendo essere di Mauro Marchese e Andrea Busi. Di fatto una performance di un solo attore perché l’altro non parla, aziona soltanto un mangianastri incerottato facendo partire di tanto in tanto qualche musichetta da ballo sull’aia. LA storia sarebbe complessa, per quel che posso capire, perché la mescolanza fra italiano e dialetto della bassa padana rende i dialoghi non comprensibili a tutti. In più, l’unico attore recita dialoghi di più personaggi, maschili, femminile, giovani e vecchi. Ce la mette tutta sudando come un maratoneta, ma della storia si capisce ben poco. Il monologo non è adatto per raccontare una storia del genere.
Facce annoiate all’uscita, non solo la mia.
Dopo mi precipito al teatro Bibbiena dove hanno anticipato un evento con il giallista norvegese Jo Nesbo.
Lo intervista Paolo Zaccagnini con domande, a dire la verità, non originalissime.
Prendo appunti anche nella penombra della platea. Le poltroncine rosa antico fanno pensare a una bomboniera barocca.
Nesbo ha un notevole carisma e vanta un curriculum piuttosto composito. Laureato in economia, lavora come broker finanziario, fa il tassista, il calciatore professionista, poi decide di dedicarsi alla musica entrando a far parte di un gruppo rock. In un momento in cui si è sciolto il suo gruppo scrive una storia poliziesca che viene subito accettata dall’editore. Inizia così la serie con protagonista Harry Hole, poliziotto dedito all’etilismo. Per questo personaggio si ispira a due persone realmente conosciute: un poliziotto locale che da bambino gli incuteva terrore e un calciatore professionista.
Esordisce nel 1997 con il romanzo Flaggermusmannen ambientato in Australia, non tradotto in italiano, come pure il secondo, ambientanto a Bangkok. Attualmente sono sette i romanzi pubblicati della serie di Harry Hole.
In italiano Piemme ha pubblicato Il Pettirosso (2006), Nemesi (2007), La stella del diavolo (2008). Recentemente ha pubblicato in francese per Gallimard La Sauveur (2007).
Perché hai creato il personaggio del poliziotto come un relitto umano, un alcolizzato perso? Non hai avuto problemi con la vera polizia?
Certi poliziotti sono così, ho cercato di ricreare situazione realistiche. Non ho mai avuto problemi con i veri poliziotti. Al contrario, so che mi leggono e mi è cè capitato anche di ricevere consigli per rendere più credibile l’ambientazione.
Alla domanda su come concilia la passione per la musica con quella per la letteratura Nesbo risponde che scrivere e comporre musica è un modo per restituire il piacere che ha ricevuto da entrambe. Più nello specifico, Nesbo dice che la scrittura è un modo per condividere emozioni con il lettore. Il suo modo di creare emozioni passa attraverso la ricerca di un effetto drammatico e attingendo alle tradizioni del suo paese.
Zaccagnini gli chiede quali sono gli autori che preferisce. Nesbo risponde che i libri sono stati sempre presenti in casa sua perché la madre lavorava in una biblioteca e il padre era un collezionista. Ha letto un po’ di tutto ma i libri che l’hanno influenzato di più sono i polizieschi norvegesi con i loro segreti ed enigmi che emergono dal passato.
Zaccagnini insiste a chiedere le preferenze cinematografiche di Nesbo dal momento che molti finali dei suoi libri sono cinematografici.
Nesbo cita Pakula e Hitchcock, il Coppola de "La conversazione", Fincher di Seven, De Sica con "Ladri di biciclette".
Se ti proponessero la trasposizione della storia di un suo romanzo in film accetteresti?
Non accetterei perché ogni lettore ha diritto di crearsi una propria immagine del protagonista dei miei romanzi, come io ho la mia di autore. La creazione di un film priverebbe i lettori di questo piacere.
Mi sembra una risposta bellissima in un mondo in cui tutti brigano per vedere i propri personaggi trasposti in film o in serie TV che, oltre a tradire le aspettative del lettore, sono spesso prodotti commerciali di scarsa qualità.
Quali altri personaggi hai creato nei tuoi libri, oltre a Harry Hole?
Ho creato un’altra storia poliziesca con un altro personaggio. Il narratore è un po’ inaffidabile, racconta le cose creando l’effetto di un incubo. Ho voluto crearlo così per rendere l’ottica delle cose che cambiano continuamente, per dare una sensazione disturbata della percezione delle cose.
Come e quando scrivi?
Mi chiudo in un albergo di un paese straniero per due mesi all’anno e lì, senza distrazioni, scrivo. Quando sono in Norvegia invece vado in un bar dove non mi conosce nessuno. A casa mai, perché ci sono troppe distrazioni.
Prima di cominciare un nuovo romanzo faccio una sinossi che può essere di 10 come di 100 pagine. La storia al momento in cui comincio a scrivere la devo conoscere, non invento niente. E’ come se dicessi al lettore "Vieni, ti racconto una bella storia" e il lettore deve avere la sensazione che la storia l’ho già raccontata tante volte, come succede con i bambini.
Mantova, 4 settembre
Al mattino c’è Baricco sotto il tendone allestito nel cortile della Cavallerizza, a Palazzo Ducale. Pienone, come era facile immaginare. Baricco inizia a parlare de "I Barbari" e spiega perché è ancora a parlarne dopo anni dalla pubblicazione. Confesso di aver provato a leggerlo quando apparve a puntate su un quotidiano ma non ce l’ho fatta ad andare avanti. Mi ha fatto piacere sentire dalla voce dell’autore, "l’interpretazione autentica" del filo conduttore del ragionamento che sta alla base del saggio. Per chi come me non lo avesse letto, mi permetto di fare una sintesi di un’ora di dissertazione, senza pretese di essere esauriente.
I Barbari sono sempre stati quelli che nei momenti di passaggio hanno portato un nuovo modo di pensare, il nuovo che stravolgeva i gesti e gli stilemi della civiltà precedente. Barbari sono stati, di ce Baricco, i primi illuministi per gli aristocratici, i romantici per gli illuministi, e via di seguito. Baricco vuol dire che oggi noi consideriamo barbari quelli che ruminano panini da McDonald con il cappellino da baseball, che non conoscono la civiltà del vino e del pecorino di fossa, o i quartetti di Beethoven. Secondo Baricco, sempre che abbia capito bene il suo pensiero, tutti noi, più o meno consapevolmente, ci stiamo movendo verso un’altra forma di civiltà che non è distruzione della precendente ma trasformazione. La conclusione è che non stiamo andando verso il niente, verso l’autodistruzione ma verso altre forme di sopravvivenza. Conclusione consolatoria, quindi.
Barcco si sofferma molto a parlare della conoscenza che non è più quella circolare, che richiede sempre un maggiore approfondimento, ma siamo nella civiltà del Surfing, per dirla all’americana, del navigare, dove ci spostiamo tutti velocemente da un posto all’altro, estendendoci linearmente. Ha raccontato la storia della nascita di Google e la straordinaria intuizione di due ragazzi americani, "neobarbari", che ha portato alla creazione del più grande motore di ricerca al mondo. I neo barbari come portatori di nuovi stili, di nuovi gesti che hanno rivoluzionato il modo di pensare di tutto il resto del mondo. Così grazie a internet anche il cultore del pecorino di fossa potrà ordinarlo on line e il ragazzo con il cappellino di baseball si informerà sul programma del concerto di Beethoven.
"Siamo alla sdoganamento della superficialità", conclude Baricco, "che da difetto diventa un valore, la condizione necessaria alla sopravvivenza.".
Forse non leggerò "I Barbari", ma Baricco ha fornito molti spunti di riflessione.
Non so perché alla fine l’autore non dà spazio alle domande del pubblico, come è consuetudine a Mantova, dove i lettori sono i veri protagonisti.
Pomeriggio al Palazzo di San Sebastiano dove Carlos Fuentes dialoga con Alberto Manguel. Uno scrittore che intervista uno scrittore. Manguel ha però l’esperienza per lasciare totale spazio alle parole di Fuentes.
E’ considerato uno dei maestri della narrativa messicana. Diplomatico di carriera, come il padre, si dimette da ambasciatore in Francia quando l’ex presidente del Messico, Diaz Ordaz, viene nominato ambasciatore in Spagna. All’attività di scrittore ha affiancato quello di saggista e giornalista.
L’intervento è più politico che letterario. Parla della storia del continente latino-americano, del colonialismo esterno degli Stati Uniti e interno delle classi dominanti che ancora affligge tutti i paesi latino americani, delle ingiustizie sociali e della corruzione, della povertà estrema di molti.
Del romanzo contemporaneo parla a proposito della nozione di tempo e del tempo lineare, dello sforzo che hanno fatto alcuni autori come Virginia Wolf e William Faulkner per cercare di rompere la linearità del tempo tipica della cultura occidentale alla ricerca della circolarità del tempo, del tempo che si crea mentre si sviluppa una storia. Secondo Fuentes sono tentativi andati a vuoto perché il nostro tempo è segnato dalla linearità. Per spiegare la circolarità del tempo Fuentes racconta un episodio accadutogli mentre assisteva in una regione sperduta del Messico a una processione religiosa di indigeni che festeggiavano la settimana santa. Fuentes si compiace con l’ indigeno che porta la croce sulle spalle che sia festeggiata una ricorrenza che risale all’imperatore Tiberio. L’indio lo guarda perplesso e gli spiega che stanno festeggiando l’origine del mondo.
Dall’analisi politica e diplomatica al cabaret. Nel giardino della casa del Mantegna Flavio Soriga, giovanissimo scrittore sardo, dialoga con Massimo Cirri.
Soriga racconta i suoi esordi al Festivaletteratura giovani nel 2002, al suo primo libro di racconti "I diavoli di Nuraiò", all’ultimo "Sardinia Blues". Ma la letteratura è un pretesto per divertire, per raccontarsi e fare battute sui sardi, sulla sua generazione "Ryan Air", cioè di quelli che sono andati all’estero per fare esperienza e sono tornati in Sardegna cambiati. Legge un comicissimo appello di sostegno a Bruce Willis cacciato dal Billionaire perché voleva fare una foto con la ragazza del patron, e fa scompisciare l’uditorio. Legge poi un alquanto improbabile pensiero di Grazia Deledda durante la consegna del premio Nobel.
Racconta in stile picaresco delle esperienze di premi letterari e di dibattiti con i critici della giuria che si vantano di non aver letto i libri.
Ma va’, che l’avrebbe detto?, aggiungo io.
Dopo cena, in piazza Castello c’è il pienone per Scott Turow presentato da Irene Bignardi.
La Bignardi ripercorre il curriculum dell’autore dei famosi legal thriller, dalle prime esperienze letterarie mentre frequentava la facoltà di letteratura ad Harvard, alla svolta con la decisione di diventare avvocato.Infine la coesistenza di entrambi i suoi interessi fino ad arrivare agli ultimi anni in cui si dedica quasi esclusivamente alla scrittura e quando decide di difendere qualcuno la fa gratuitamente. Si parla anche delle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti dal momento che Turow è e sostenitore da sempre del partito democratico nonché amico e collega di Obama.
Parla della pena di morte e della sua campagna, anche come scrittore, per l’abolizione. Nel 2003 ha scritto "Punizione suprema", una riflessione sulla pena capitale. La motivazione giuridica che porta è che ogni sistema giudiziario sarà sempre imperfetto e pertanto suscettibile di errore e che il rischio di condannare a morte un innocente è di per sé motivo valido per la sua abolizione. Da avvocato riporta anche l’opinione dei contrari all’abolizione, cioè la vendetta che la parte offesa chiede con l’esecuzione capitale, sentita come riparazione del danno.
Riporta due casi che gli sono capitati all’inizio della carriera, quando era assistente del procuratore generale di Chicago. Due uomini furono condannati a morte dopo anni passati nel braccio della morte. Uno era innocente, l’altro no ma fu condannato per una serie di circostanze sfavorevoli piuttosto casuale. E’ cominciata allora la sua riflessione sull’utilità della pena di morte.
Mantova, 5 settembre
La mattinata inizia con Augias in un affollatissimo cortile della cavallerizza di Palazzo Ducale. Presenta il suo libro appena uscito, "Inchiesta sul Cristianesimo", scritto in collaborazione con Remo Cacitti professore di storia del cristianesimo all’università statale di Milano. Augias esordisce dicendo che a due giorni dall’uscita ha già ricevuto tre stroncature dalla stampa cattolica.
Chiarisce che il suo è un tentativo di raccontare la storia del cristianesimo attraverso i documenti e non con la teologia e che è stato concepito per coloro che di questo argomento conoscono poco. Inizia una chiarissima e avvincente illustrazione sintetica della domanda che sottende al libro: "Come una corrente religiosa di minoranza è potuta diventare nel giro di pochi decenni dalla morte del suo capo una religione autonoma che ha dato origine a una gerarchia, una dottrina, dei dogmi?"Alla fine non mancano le domande del pubblico, affascinato dal tema e dall’intervento di Augias.
Sotto la tenda in piazza Sordello c’è un incontro dal titolo accattivante "Tutta la fatica di un libro" ovvero tutti i passaggi e la professionalità coinvolte nella produzione di un libro. Ne parla Oliviero Ponte di Pino che lavora alla Garzanti. L’incontro è affollatissimo, già prima che inizi rimangono posti in terra e non posso vedere il diagramma di flusso sul processo editoriale che viene proiettato. Interessante sapere che le grandi case editrice hanno dei lettori, pagati pochissimo, che leggono i manoscritti che vengono inviati e che ne analizzano non soltanto il valore artistico ma anche le potenzialità di vendita e se ci sono altri manoscritti con caratteristiche simili.
A Palazzo della Ragione Raul Montanari parla di Edgar Allan Poe e affascina la platea, nonostante la temperatura interna superi i 30° e il tasso di umidità sia da foresta pluviale. Mette in luce gli aspetti modernissimi ( e pop, dice Montanari) di Poe, antesignano dell’horror moderno, del poliziesco e del noir. In finale, lettura e analisi stilistica e metrica del poema "Il corvo", tradotto dallo stesso Montanari.
Mi trasferisco all’ex macello comunale, oggi biblioteca Baratta (se non avessi la bicicletta!) per un incontro con un autore francese che non conosco: Jean Echenoz presentato da Beppe Sebaste.
Sebaste fa un’introduzione a Echenoz che dura abbondanti venti minuti e il pubblico, spazientito dal presentatore che sembra amare sentirsi parlare, restituisce la parola allo scrittore francese.
E’ (quasi) sempre il problema di scrittori che presentano altri scrittori e che non resistono alla tentazione di autopresentarsi.
Echenoz, non conosciutissimo in Italia ma molto apprezzato in Francia, nel ‘99 ha vinto il premio Goncourt con il romanzo "Me ne vado".
In Italia sono stai pubblicati da Einaudi "Un anno", (1998), Me ne vado" (2000), "Le biondone" dalla Libreria dell’Orso (2004), e infine da Adelphi "Ravel. Un romanzo" (2007) e "Il mio editore"e "Al pianoforte" (2008).
Ha esplorato un po’ tutti i generi, dal poliziesco al noir al romanzo di avventura per approdare recentemente alla biografie romanzate. La sua attenzione è al ritmo della frase, ad una scrittura costruita come una frase musicale, con una sua melodia interna adatta ad esprimere la sensazione da trasmettere.
Da una scorsa che ho dato velocemente a "Un anno", comprato a fine intervento, ho avuto l’impressione di essere di fronte a una prosa altamente poetica.
La serata finisce nell’aula magna dell’Università, messa a disposizione in sostituzione del cortile di palazzo d’Arco per timore di una pioggia che non viene.
C’è Hakan Nesser presentato da Massimo Cirri.Aula gremita, manco a dirlo. Nesser fa parte della squadra dei giallisti svedesi. Ha un passato d’insegnante di liceo e racconta che già allora, quando i ragazzi svolgevano il compito in classe, approfittava del tempo per scrivere gialli. Ha scritto fino ad oggi 21 romanzi e ne ha pronti altri 4. In Italia Guanda ne ha tradotti sette fra il 2003 e il 2008
Alla domanda di Cirri sul motivo per cui in Svezia ci sono stati scrittori di gialli risponde che quando ha cominciato lui, nel 92, erano soltanto in due, lui e Mankel..Gli scrittori scandinavi sono stati scoperti dai lettori tedeschi, che sono molti e da qual momento il mercati librario si è aperto.
A domande di Cirri fra il serio e il faceto (molto), risponde che è riduttivo parlare dei suoi libri come polizieschi e che personalmente è contrario alle etichette. Quello che conta è scrivere una bella storia.
Come dargli torto?
"I romanzi polizieschi rappresentano la società svedese?" chiede Cirri.
"Nel caso di Mankel sì, perché è uno scrittore fortemente interessato alla politica. I miei romanzi meno, io sono più interessato ai drammi familiari, anche se non si può prescindere dall’analisi della società. Sono ambientati in un’Olanda immaginaria proprio perché non volevo riferimenti diretti alla Svezia e poi, aggiunge, è più facile scrivere su qualcosa di immaginario perché questo non implica una ricerca. Quello che mi interessa è concentrarmi sui personaggi che non sono degli stereotipi ma sono il cuore, l’essenza del libro".
Gli chiedo se nei suoi romanzi lo interessa più la costruzione della trama o l’indagine psicologica dei personaggi. Risponde che ambientazione e indagine sui personaggi devono essere compresenti e che all’inizio di ogni libro non sa mai cosa prenderà il sopravvento.
Attraverso Mantova di notte: è un piacere. Tanta gente, nelle vie del centro ci sono degustazioni di prodotti locali. I negozianti, nonostante siamo in tarda serata sono sempre gentilissimi. Piazza delle erbe è illuminata come il salotto buono di casa. Il tendone che ospita la libreria e i tavolini dei bar all’aperto sono ugualmente pieni. Allontanandomi pedalando sul ponte sul Mincio mi giro verso la città ed è un gran bello spettacolo.

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